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4. Graminacee

Nell’ambito delle piante ortive che possono definirsi comuni è il mais (foto 5), il Pep’d’Ignia (=Pupo di India, riferito alla pannocchia) come lo chiamano ad Accettura in assonanza con Gran’d’Ignia (Grano di India), termine più diffuso in Basilicata. Quanto all’entità delle piante, questa varia notevolmente in funzione dell’uso che ne viene fatto: scarso- per il consumo allo stato fresco (come ortaggio di stagione, mangiato bollito o arrostito) o abbondante, quando è destinato alla produzione di farina per la polenta. Il mais è anche la pianta per la quale è più facile ipotizzare una origine largamente autoctona, nelle sue colorazioni di bianco, giallo e rosso (foto 6). Decisamente più rara è stata la rilevazione della maìsa, retaggio di una tecnica tradizionale di coltura ancora rinvenibile nella Montagna lucana.

La maìsa, che consiste nella consociazione sulla stessa superficie del mais con altre colture ortive estive, ha come principale finalità il recupero di fertilità del terreno in quanto succede ad una coltura molto depauperante come i cereali. Le piante di mais producono una ombreggiatura delle ortive più basse e i loro fusti fungono da tutori per le leguminose rampicanti (in genere i fagioli).

Negli orti della Salandrella la consociazione più frequente è il mais con la zucca, in un caso è stata rilevata la presenza del cece.
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Un caso di particolare interesse deve essere citato all’interno della categoria dei cereali. Si tratta della presenza in un orto di Oliveto di una modesta superficie che ospita una consociazione di grano duro e tenero coltivate per autoconsumo familiare.

Che si tratti di grani antichi è stato facilmente desumibile dalla eccezionale altezza delle spighe, evidente nelle foto 7-8, che è proprio il carattere distintivo dei grani antichi, selezionati nel tempo dall’uomo per l’ottenimento di una notevole quantità di paglia (per le necessità degli allevamenti) rispetto alla produzione di granella per l’alimentazione umana. Quanto alla determinazione delle varietà sarebbe necessaria, come in tutti gli altri casi, l’analisi del DNA. La proprietaria dell’orto sostiene che si tratti dell’antico Cappelli (il grano duro) e della Ciciredda (grano tenero).

L’eventuale ritrovamento del Cappelli non costituisce di per se stessa un dato eccezionale, essendo stato uno degli obiettivi dell’indagine svolta presso le aziende agricole della zona. Tuttavia potrebbe verificarsi che il seme utilizzato in questo caso sia il frutto di una conservazione di lunga data proprio perché associato ad una varietà di grano tenero, la Ciciredda, che, se fosse confermata dalla identificazione genetica, risulta effettivamente molto rara e preziosa visto che la sua presenza in Basilicata viene citata nella celebre indagine di De Cillis realizzata alla vigilia del grande processo di miglioramento genetico dei grani su base scientifica, avviato durante il fascismo.
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