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Cibi pasquali in Basilicata

Pasqua non è soltanto il culmine di celebrazioni religiose che cominciano con la Quaresima e si protraggono fino alla Settimana Santa. È anche la fine di un periodo di magro, o addirittura di digiuni per i cristiani più devoti, cominciato alla fine del Carnevale. Ma per tutti le celebrazioni pasquali si collocano in un importante momento di passaggio calendariale: in questo momento sta entrando la primavera, la vegetazione si risveglia e procede più speditamente verso la crescita.

Analogamente i sepolcri, i bianchi germogli di grano tenuti al buio fino al momento dell’offerta in chiesa, rappresentano un’azione propiziatoria per la rinascita della vegetazione. La resurrezione di Cristo, in fondo, è metafora di una generale rivitalizzazione della natura che, secondo il mito greco-romano, era favorita dall’emergere dalla terra di Proserpina, la figlia di Cerere rapita da Plutone e segregata nel buio. Per le società rurali, fra le quali fino a sessanta anni fa si poteva contare anche la nostra, si tratta di un momento critico, in cui è in gioco l’esito del raccolto, il benessere e l’armonia della società agropastorale. Da qui la necessità di far circolare i simboli propiziatori della rinascita e della vita.

Anche nei cibi cerimoniali di questo periodo si possono cogliere riferimenti alla nascita e allo sviluppo della vita per augurare e favorire un buon raccolto e una buona produzione animale. Ecco allora le uova, vita appena germogliata, offerte e richieste in dono suonando e cantando nei giri di questua (usanza ancora presente ad Anzi), introdotte in torte dolci o salate come elemento decorativo, utilizzate in diverse pietanze di questo periodo.

Si pensi per esempio a quella torta rustica ben conosciuta - la versione più nota è il casatiello napoletano - diffusamente denominata in Basilicata pastizz’ (con le contestuali varianti dialettali), preparata prevalentemente con toma, uova, ricotta e salame - pietanza che ad Accettura e San Mauro Forte prende il nome della colomba pasquale: a clombr’.

Poi le pupe, diffuse in Italia centrale e meridionale, di diverse forme (bambola, cavallo, borsetta, cestino) decorate con uova sode e diavoletti, generalmente regalate ai bambini, essi stessi esseri umani appena germogliati. Spesso questi cibi vengono donati, come ogni altra festività, in un contesto di manifestazioni di amicale reciprocità e socialità.

Molto diffusa in Basilicata è la pastiera - per la verità si tratta di una versione “povera” rispetto alla “barocca” pastiera napoletana ricca di sapori e colori . Sulla provenienza storica della pastiera sembra consolidato il mito della sua origine romana legata alla confarratio, le nozze romane durante le quali si scambiavano pani rituali di farro e ricotta.

Non possiamo dimenticarci della menzionata colomba, oggi raramente prodotta artigianalmente, che fa riferimento all’uccello simbolo cristiano della pace. Questo dolce è diventato nel primo Novecento il principale simbolo alimentare nazionale della Pasqua, quando l’azienda Motta lo propose sul mercato italiano nella stessa forma e preparazione in cui lo conosciamo oggi.

Infine gli agnelli e i capretti sono, loro malgrado, protagonisti nelle libagioni pasquali. Il consumo rituale della sua carne è prescritto nell’Antico Testamento, e in ogni caso si collega alla figura di Cristo “agnello di Dio” del quale, per i cristiani, bisogna mangiare simbolicamente il corpo: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo - scrive l’apostolo Giovanni - e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”.

Oggi il sacrificio ha perduto la sua valenza simbolica di ingraziamento della natura e delle divinità e l’agnello cucinato resta nella tradizione per segnare la festa di un carattere di non-quotidianità, di eccezionalità, per riportare nel mondo contadino il mito di un tempo di abbondanza economica e alimentare.

È difficile dire perché salami, uova e agnelli compaiano sulla tavola proprio in questo periodo.
Gli appassionati per le origini delle tradizioni si richiameranno entusiasticamente alla simbologia degli antichi; altri, invece, più laconicamente diranno che il motivo per cui quei cibi sono sulla tavola a Pasqua va ricercato, molto semplicemente, nella loro disponibilità: il salame è pronto per essere consumato, gli agnelli nascono in questo periodo e di uova ce ne sono quasi sempre in abbondanza.

Francesco Marano

Francesco Marano

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Docente di Etnografia all’Università della Basilicata

Autore del sito
>> www.cucinalucana.it
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